CITAZIONE (Gold Wing @ 17/10/2016, 21:27)
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Racconterò la materia del contendere tra due post...
Adempio alla promessa.
Io e il professore citato avevamo opinioni diverse sull'apostrofo in fin di riga. Lui sosteneva che non fosse ammesso, io invece ritenevo che nessuna regola, nè grammaticale o estetica, lo vieta.
In un compito di italiano, mi segnò errore. Protestai, ma lui non cedette.
Quel giorno, tornato a casa, mi documentai e, la mattina dopo, tornai in classe "armato" del citato libro "Si dice o non si dice?" di Aldo Gabrielli.
La spiegazione di Aldo Gabrielli è la seguente (questo caso non è di utilità pratica per il forum, perchè, scrivendo al computer, non abbiamo di questi problemi; ma è comunque interessante, oltre che utile in altri ambiti).
Dopo aver raccontato il caso di una dattilografa milanese che, per aver seguito il suo (di Gabrielli) consiglio, aveva subito una lavata di capo dal principale,
e aver quindi accennato alla possibilità di non affrontare questo problema per evitare problemi simili ad altri, Gabrielli fa una riflessione molto interessante, che dimostra, secondo me, la grandezza del linguista e dell'uomo: "se non rispondiamo noialtri che ci gingilliamo con questi problemi da mane a sera, chi deve rispondere?"
Infatti, le grammatiche spesso tacciono su queste e altre questioni pratiche, gli insegnanti si rifanno alle grammatiche; e così tutto resta come prima e, quel che è peggio, alcuni compositori tipografici continuano a propinarci sconci come dello/uomo, una/aquila, tutto/altro...
La questione, infatti, riguarda soprattutto la scrittura a macchina e la stampa, soprattutto quest'ultima, dove tutte le righe devono essere perfettamente uguali. Le macchine compositrici hanno dispositivi speciali per portare la riga sempre alla misura voluta, ma ormai la gente si è così abituata all'abolizione dell'apostrofo in fin di riga e alla reintegrazione arbitraria della vocale elisa, che i compositori tipografici trovano più conveniente, nelle affrettate linee di un quotidiano, comporre "una/anima" o "dello/antico", anzichè perdere qualche secondo di più nella ricerca di una giustificazione tipografica conveniente; perchè, tipograficamente, è molto più sbrigativo scrivere mettere in fondo alla riga <<dello>> che <<dell'an>>.
Rispetto al tempo in cui scriveva Gabrielli (anni '60), ora ovviamente l'uso dei computer ha un po' cambiato il problema, perchè tutti i programmi di videoscrittura consentono facilmente di giustificare una riga, ma è rimasta quest'abitudine di non mettere l'apostrofo in fin di riga, anche perchè i programmi di video scrittura, per motivi tecnici, l'apostrofo in fin di riga non lo mettono. Ma non può essere un programma di videoscrittura a dettare le regole alla lingua italiana; anzi deve avvenire il contrario!
Alcuni linguisti condannano l'uso dell'apostrofo in fin di riga perchè la grammatica dice che non si può mai spezzare una sillaba (infatti nel caso di "dell'antico" la sillabazione è "del-l'an-ti-co"). Ma in queto caso la questione della sillabazione non si deve nemmeno considerare! Tanto vero che scrivere "dell'/antico" non richiede l'uso della lineetta, che è appunto il segno convenzionale della spezzatura sillabica!
Detto in parole povere: qui non stiamo dividendo due sillabe, ma due parole: "dell'/antico"! E nessuna regola può impedircelo!
Errore quindi sarebbe scrivere "dell'-/antico", ma non "dell'/antico".
Gabrielli cita un'edizione bodoniana dell' "Aminta", del 1787, con, già nell'introduzione, un "sull'/Istmo" che è un piacere guardarlo.
E poi altri esempi, tra cui un vocabolario della Crusca del 1806.
Tornando alla mia "contesa" con quel professore di italiano, la mattina dopo io entrai in classe col libro di Gabrielli; mi appellai a lui, perorai la mia causa nel mio solito modo "logico e argomentato" e il professore dovette rassegnarsi che non c'erano motivi validi per considerare errore quello che avevo scritto nel compito.
Ma non era convinto e mi esortò comunque a evitare di scrivere in quel modo.
Ne presi atto, ma... per tutti i 5 anni di ginnasio/liceo, in ogni compito di italiano, io volontariamente spargevo numerosi apostrofi in fin di riga, spesso volontariamente distanziando le parole o ravvicinandole (in modo millimetrico, non contestabile, ovviamente), o scegliendo volutamente frasi con parole che potevano essere elise.
Il professore ovviamente capiva, ma non poteva obiettare nulla, perhcè io ero "protetto" dal Gabriell (poltre che dal mio implacabile argomentare: ero un rompiballe già allora
).
Ad onor del professore e della sua correttezza, questo non influì sui miei ottimi voti, anzi credo che, segretamente, lui abbia apprezzato uno studente che, rispettosamente ma fermamente, gli teneva testa perchè convinto delle proprie ragioni, ma soprattuto in modo argomentato,
Saluto il mio professore di itlaliano (ormai purtroppo non più in vita).
P.S. Nell'ultimo mio libro (Il Giro del Mondo...), c'è un apostrofo in fin di riga: alla fine anche il mio stampatore ha ceduto e mi ha accontentato.